Oggi, 25 Novembre, è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

In occasione di questa giornata ho scritto un articolo sul Corriere di Novara, uscito in edicola sabato 24. Di seguito potrete leggere il testo integrale del mio scritto. Buona lettura!

Il percorso d’aiuto per le donne vittime di violenza

Negli ultimi anni il numero dei casi di violenze sulle donne è aumentato sempre più, ne sono prova le denunce presentate alle autorità competenti, ma anche le numerose telefonate arrivate al numero gratuito di pubblica utilità 1522, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità e gestito da Telefono Rosa.

È aumentata anche la sensibilità nei confronti di questa tematica. Se ne parla in televisione e sui giornali, si cerca in ogni modo di arrivare a più donne possibile, in modo da raggiungere anche quelle più in difficoltà, così da fornire loro informazioni utili su come uscire da una situazione così complessa e articolata.

Si parla ancora troppo poco, invece, dei vissuti emotivi percepiti da chi subisce violenza e delle conseguenze che questi possono avere sul benessere psicologico della vittima e sulla sua capacità di allontanarsi da un partner maltrattante. Quando una donna si trova all’interno di una relazione violenta tende a sentirsi sempre più impotente e incapace di uscire da quella situazione, la sua autostima si abbassa notevolmente, emergono forti sensi di colpa e di vergogna legati alla sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato e di essere essa stessa responsabile della violenza. La donna perde, poco per volta, la capacità di leggere in modo corretto il suo rapporto con il partner, ma soprattutto, in questa confusione più totale, perde la percezione di sé come persona capace di leggere, interpretare e fronteggiare le situazioni della vita in generale. Se la donna vittima di violenza non riceve il sostegno adeguato si possono sviluppare conseguenze e disturbi più evidenti come attacchi di panico, fobie, disturbi del sonno, disturbi alimentari, disturbi psicosomatici, dipendenza da sostanze.

Non c’è una durata standard del percorso di sostegno psicologico alle donne vittime di partner maltrattanti. Lo psicologo non è in grado di definire a priori la durata dell’intervento, ma va a strutturare il proprio lavoro in diverse fasi, ognuna delle quali è finalizzata a raggiungere determinati obiettivi. La fase probabilmente più conosciuta è quella dell’accoglienza, che viene svolta nelle prime fasi di sostegno alla vittima, quelle dell’emergenza, connesse al periodo successivo alla richiesta d’aiuto o alla denuncia del partner. Lo stress e l’ansia della vittima sono tali da necessitare un supporto psicologico costante e mirato, con l’obiettivo di mettere la donna nelle condizioni di affrontare e superare gli stati emotivi connessi alla violenza subita. Bisogna prima di tutto medicare le ferite, permettendo alla donna di raccontare e raccontarsi, di ricostruire le sue esperienze traumatiche. Il passo successivo è quello di lavorare sull’elaborazione del trauma e sull’emergere di una nuova identità, lontana da quella di vittima che ha accompagnato la donna nel periodo precedente. Per fare ciò lo psicologo dovrebbe lavorare non solo sul mondo psichico della persona, ma anche sulle sue strutture di pensiero, in modo tale da riuscire a lavorare sulla relazione che la donna ha con il maltrattante. Ricordiamo che la violenza è un fenomeno che trova spesso le sue radici nelle esperienze dell’infanzia ed entra nel mondo interno della persona come modello ingiusto e doloroso, ma allo stesso tempo come modello ammissibile e consueto, un modello di relazione con l’altro difficile da modificare.

Uno degli aspetti meno conosciuti dell’intervento psicologico con le donne vittime di violenza è proprio quello relativo alla ricostruzione dell’identità della donna. Non basta dare sostegno psicologico alla vittima nell’immediato, è altrettanto cruciale svolgere un’analisi precisa e approfondita del suo modello di funzionamento relazionale. Solo conoscendo il proprio modo di interagire con le altre persone la donna sarà in grado di strutturare nuove relazioni che siano più funzionali e soddisfacenti. Il rischio, in assenza di questa fase dell’intervento, è che la donna possa ricadere in futuro in un’altra relazione maltrattante, basata sugli stessi meccanismi già emersi in precedenza.

L’obiettivo del lavoro psicologico nei confronti di vittime di violenza è di rinforzare quelle aree dell’identità della persona che sono riuscite a mantenersi integre durante l’esperienza traumatica, aiutando a sviluppare una nuova prospettiva che possa accompagnare la vittima nel riconoscimento e nel sollievo delle sue ferite psichiche. Il lavoro dello psicologo, quindi, è un intervento nell’immediato, nell’emergenza del trauma subito, ma è anche un lavoro in prospettiva, rivolto al futuro, finalizzato ad aiutare la donna a conoscere meglio se stessa e i propri schemi relazionali, a sviluppare la capacità di riconoscere i campanelli d’allarme che connotano un uomo violento, per far sì che non si trovi più all’interno di una relazione maltrattante.